domenica 26 giugno 2011

Antichi Matrimoni In Irpinia



Il giovedì prima del matrimonio veniva portato lo lietto, cioè veniva portato il corredo nella casa nuziale; anche questa era un'occasione per festeggiare, ma la sposa non vi poteva partecipare, perché era assolutamente proibito andare a casa del fidanzato prima del matrimonio. Questa tradizione, a Morroni (piccolo centro dell’Irpinia), è stata mantenuta fino a circa venti anni fa. Il giorno del matrimonio gli invitati si riunivano a casa dello sposo, di qui partivano tutti insieme per andare a prendere la sposa e portarla in chiesa. Qui le acquasantiere venivano sorvegliate da persone di fiducia, perché, durante la celebrazione del matrimonio, si potevano fare delle fatture. Quando il prete pronunciava le parole ora pro nobis la persona male intenzionata si metteva vicino all'acquasantiera e facendo dei nodi ad uno spago diceva: Diavolo attacca a quisto. Dopo la Messa, gli sposi facevano un giro per il paese per ricevere gli auguri degli amici e donare confetti ai bambini. Se la sposa aveva una cattiva reputazione, andando in chiesa correva il rischio di trovare la strada cosparsa di fagioli. Lo sposo indossava un vestito nero con panciotto, la camicia bianca, la c cravatta nera. La sposa era vestita di bianco o di rosa, in mano recava un mazzo di fiori di campo ed una borsetta in cui portava degli oggetti simbolici: tre pezzi di cuoio juvo, cioè il cuoio del giogo, sale doppio, una figura del Santo di cui era devota. Gli sposi tornavano a casa a piedi, la suocera li accoglieva, lanciando i confetti e petali di rose, poi, simbolicamente, rompeva il piatto che li conteneva. Il pranzo era molto elaborato; consisteva in pasta fatta in casa, spezzatino di coniglio, vari tipi di carne di animali da cortile ed infine la pizza ionna. Il mattino seguente al matrimonio, la suocera si recava in camera degli sposi per avere la prova della verginità della nuora. Da questo dipendeva la riuscita del matrimonio e la buona reputazione della sposa agl'occhi di parenti ed amici. I fatti persoli della sposa, difatti, venivano messi al bando dalla suocera soddisfatta o meno, ed in quest’ultimo caso poteva addirittura rimandare la sposa da suo padre. Per una settimana la sposa non usciva di casa, la domenica seguente si recava in chiesa col marito e per l’occasione indossava un abito nero detto “spolverino”. In questa occasione si diceva che la sposa “asceva a messa”. Dopo quindici giorni poteva andare a trovare i suoi genitori e raccontare della nuova vita. (Franca Molinaro)

sabato 25 giugno 2011

Sapori Bonitesi (mogliatielle)

Mugliatielli" involtini di interiora e frattaglie, di agnello,avvolti con l'intestino, molto diffusi in tutta l'Irpinia, sono uno degli esempi di piatti composti da cibi poveri ma nutrienti, dando così la forza sufficiente ai contadini di potere lavorare. Ancora, oggi, gli anziani utilizzano come uno degli ingredienti principali della loro cucina le parti meno nobili degli animali. Prima si preparavano in casa oro si comprano in macelleria perchè per preparerli ci vuole molto tempo




domenica 5 giugno 2011

La pizza ionna



La pizza ionna con le frittole è un’antica ricetta tipica del territorio Irpino: consiste in una pizza da forno a base di farina di granoturco, insaporita con formaggio pecorino e “frittole” cioè cicoli, i pezzetti di grasso che si ottengono dalla lavorazione della sugna. Con ogni probabilità originariamente la migliazza veniva preparata con la farina di miglio, da cui deriva il suo nome e che oggi, in questa come in molte altre ricette, è stata sostituita da quella di granoturco. La migliazza è un piatto decisamente invernale, sia per gli ingredienti usati, residui della lavorazione del maiale, sia per il suo elevato apporto calorico; tradizionalmente veniva preparata in abbinamento con la minestra maritata. In realtà la sua preparazione è molto semplice, poiché basta far bollire le frittole in acqua, sale e peperoncino e aggiungere, a bollitura avvenuta, la farina di mais e il pecorino grattugiato. L’impasto, una volta cotto e amalgamato, viene fatto asciugare e cotto al forno in una teglia ben unta di sugna o, in alternativa sulla brace dove però deve essere chiuso da un coperchio su cui si poggiano dei pezzi di brace.

Blasoni




Tutti i paesi della provincia di Avellino, che ammontano a centodiciannove, nel passato erano catalogati con uno o più motti coloriti, che gli studiosi hanno denominato blasoni popolari . Sono nomignoli scherzosi, che tendono a deridere gli abitanti dei paesi. Quindi si tratta di una caricatura, che ha il solo scopo di sbeffeggiare e mettere in ridicolo. Sono soprannomi appioppati dai residenti di un paese ai residenti dei paesi limitrofi, tradizionalmente avversi. Buona parte dei motteggi nacque certamente dallo spirito di campanilismo che animò nel passato i rapporti tra i nostri piccoli agglomerati. Il maggior numero di essi è stato riferito dai singoli informatori, originari o degli stessi paesi (pochi) oppure dei paesi viciniori (i più). La memoria di questi attributi popolari è quasi scomparsa; sopravvive solo nel ricordo di pochi settantenni o ottantenni.

Si riportano qui di seguito i blasoni popolari dei paesi della nostra Irpinia al completo. Per ora ci limitiamo a riferirne uno solo per ogni centro abitato, quello più comune e più caratterizzante. Una apposita pubblicazione, che vedrà la luce a breve, sarà più esaustiva (ogni comunità vantava più di un blasone!), arricchita anche da filastrocche canzonatorie, chiamate dagli antropologi rappresaglie cantate . Neanticipiamo un piccolo campione, riguardante il nostro capoluogo: Avellino: Spogliacristi (scrocconi); Culacchiùti (dal culo grosso), Cucchialùti (col fondoschiena a forma di cucchiaio), Carrozzieri (cocchieri), Mbrellìni (vanitosi e fatui), Paccottàri o Cartocciàri (defecavano in casa nei coni di carta, ‘o cartoccio, ‘o cuoppo, che poi gettavano nelle siepi, ma per lo più nel fiume). Ecco alcuni detti:

Avellinési, fàvezi e curtesi !

Avellinu, pisciaturu r'Italia (per le frequenti piogge).

1. Aiello del Sabato (aiellesi) Mangiacacciuòtteli (che mangiavano i cuccioli di cani)

2. Altavilla (altavillesi) Cacapignàte (che defecavano nelle pignatte)

3. Andretta (andrettesi) Mbezzecùsi (cavillosi, attaccabrighe)

4. Aquilonia, (aquilonesi) Arrerupasànti (dirupasanti)

5. Ariano Irpino (arianesi) Coppulappìsi: (dai berretti a sghimbescio)

6. Atripalda (atripaldesi) Cachiéri (per i bisogni andavano sulle rive del Sabato)

7. Avella (avellani) Cipollàre (produttori e di cipolle)

8. Avellino (avellinesi) Spogliacristi (scrocconi)

9. Bagnoli Irpino (bagnolesi) Cammenanti (commercianti girovaghi)

10. Baiano (baianesi) Puntellàre (fornitori di pali per puntellare i vigneti)

11. Bisaccia (bisaccesi) Vrecchipànni (dalle orecchie a sventola)

 
12. Bonito (bonitesi) Migliazzàri (si cibavano di migliazza , pizza di farina di miglio , imbottita di ciccioli di maiale)


13. Cairano (cairanesi) Chiantacòppule (coltivatori di peperoni)

14. Calabritto (calabrittani) Scazzaprùcchi (schiaccia pidocchi)

15. Calitri (calitrani) Menaprète (perché buttavano pietre nell'unico pozzo che sorgeva in territorio di Cairano)

16. Candida (candidesi) Chiuovarùli (fabbricanti di chiodi, fabbri)

17. Caposele (caposelesi) Mangiafichi (produttori e ingordi di fichi)

18. Capriglia Irpina (caprigliesi) Scorciacucci (scuoia conigli)

19. Carife (carifani) Mbastacréta (modellavano caraffe di creta)

20. Casalbore (casalboresi) Zellùsi (tignosi; pretestuosi )

21. Cassano Irpino (cassanesi) Mangialupìni (ingordi di lupini)

22. Castelbaronia (castellesi) Segacòrne (con i corni di buoi e montoni, costruivano oggetti di osso, come i pettini)

23. Castelfranci (castellesi) Castigu r' Diu , quasi uno dei flagelli di Dio

24. Castelvetere sul C. (castelveteresi) Scanzazànghi (per le vie fangose, i castelveteresi si rimboccavano i calzoni per non infangarsi)

25. Cervinara (cervinaresi) Graunàri (carbonai)

26. Cesinali (cesinalesi) Jàlli ‘e massaria (altezzosi, superbi)

27. Cianche (chianchesi) Chiangarùli (storpiando il nome del paese Chianche, frequentatori di chianghe , beccherie;

28. Chiusano S. Domenico (chiusanesi) Asciuoli (fischiettano come assiuoli)

29. Contrada (contradesi) Li cani

30. Conza della Campania (conzani) Sponzaruospi (mangia rane)

31. Domicella (domicellesi) I galoppini (gente adusa ai viaggi; faccendieri)

32. Flumeri ( flumeresi) Affumecàte (che vivono nella nebbia)

33. Fontanarosa (fontanarosani) Cacallèrta (precipitosi; altri: pigri al punto da infastidirsi anche al solo calarsi le brache)

34. Forino (forinesi) Spurtellàri (costruttori si sporte)

35. Frigento (frigentini) Nasipizzùti (dal naso affilato dal freddo che imperversa nel paese che è situato ad alta quota)

36. Gesualdo (gesualdini) Craparieddi (caprai)

37. Greci (grecesi) Santascurciùgni (scorticasanti, spellano il prossimo)

38. Grottaminarda (grottesi) Votacòppela (voltagabbana, perché cambiarono il loro patrono: da San Giacomo a San Tommaso d'Aquino)

39. Grottolella (grottolesi) Peponàri (venditori di peperoni tritati)

40. Guardia dei Lombardi (guardiesi) Ciangulùni (bracaloni, sciattoni; semplicioni)

41. Lacedonia (lacedoniesi) Viccifàtui (scioccamente boriosi, simili a tacchini)

42. Lapio (lapiani) Mangiàgli (gran mangioni di agli; poveri)

43. Lauro (lauretani) Puzinielli (impiegati in camicia e polsini; Lauro era il centro del Principato, dotato di uffici pubblici)

44. Lioni (lionesi) Annigliàti (avvolti dalla nebbia)

45. Luogosano (luogosanesi) Mangiamarruchiélli (mangia lumache)

46. Manocalzati (manocalzatesi) Zucculìlli o socchélle (fabbricanti di zoccoli)

47. Marzano di Nola (marzanesi) V ozz'appese (gozzuti, perché bevevano acqua di pozzo, che, così si credeva, era ricca d'olio).

48. Melito Irpino (melitesi) Mangiaruospi (per l'abbondanza di rane nel corso del fiume Ufita che attraversa il paese)

49. Mercogliano (mercoglianesi) Pecoràri (che pascevano le pecora sopra Castello)

50. Mirabella Eclano (mirabellesi) Piattàri (rigattieri)

51. Montaguto (montagutesi) Mangiacoteca (mangia cotenna di maiale)

52. Montecalvo Irpino (montecalvesi) Mbriacùni (beoni)
53. Montefalcione (montefalcionesi) Mangiàgli (mangiatori di agli)

54. Monteforte Irpino (montefortesi) Carrabbàri (fabbricatori di barili)

55. Montefredane (montefredanesi) Facciatìnti (scuri di pelle)

56. Montefusco (montefuscani) Sciugulacchiàni (perché per scendere giù a Santa Paolina, i montefuscani scivolavano col culo per terra; oppure perché una volta parte del paese franò a valle)

57. Montella (montellesi) Faccistuorti (voltafaccia; che guardano biechi perché non vogliono incrociare lo sguardo di altri).

58. Montemarano (montemaranesi) Culirùssi (le donne indossavano gonne rosse)

59. Montemiletto (montemilettesi) Votacòppola (che mutano facilmente parere)

60. Monteverde (monteverdesi) Faccisciàline, facceggiàlle (dall'incarnato pallido)

61. Montoro Inferiore (montoresi) Cipullàri (produttori di cipolle)

62. Montoro Superiore (montoresi) Canijànchi (cani bianchi)

63. Morra De Sanctis (morresi) Mangiatrippe (ingordi di trippa)

64. Moschiano (moschianesi) Faccistuorte (diffidenti, perché situati in una zona isolata; voltafaccia, inaffidabili)

65. Mugnano del Cardinale (mugnanesi) Subressatàre (confezionano salumi )

66. Nusco (nuscani) Li pacci (matti; estrosi)

67. Ospedaletto d'Alpinolo (ospedalettesi) Cupetàri (fabbricanti di torroni)
68. Pago del Vallo di Lauro (paghesi) Pavajuoli, scauzùni (che andavano per lo più scalzi)

69. Parolise (parolisani) Scorciapatàne (sbuccia patate)

70. Paternopoli (paternesi) Vocche r' nfiernu (bocche maligne dell'inferno)

71. Petruro (petruresi) Perturìsi (storpiando il nome del paese, come a dire, per scherzo, abitanti di pertugi, dimoranti in tuguri)

72. Pietradefusi (pietradefusani) Capicuotti (dalla testa bruciata)

73. Pietrastornina (pietrastornesi) ‘E camerère (le donne si offrivano a Napoli come balie)

74. Prata P. U. (pratesi) I cèci (sempliciotti)

75. Pratola Serra (pratolesi) Ciucciàri (commercianti di bestiame)

76. Quadrelle (quadrellesi) Nugliàre (confezionavano noglie , salumi )

77. Quindici (quindiciani) Curtellàri (facili a impugnare il coltello)

78. Roccabascerana (rocchesi) Giacchettàri, (perché confezionavano giacche)

79. Rocca San Felice (rocchesi) Mufetàri (dal maleodorante odore della Mefite)

80. Rotondi (rotondesi) Li tunni (i tonti)

81. Salza Irpina (salzesi) Solachianielli (riparatori di scarpe)

82. San Mango sul Calore (sanmanghesi) Mangiafìcu (produttori e ingordi di fichi)

83. S. Martino V. C. (sammartinesi) Martinàri (gente prepotente, intrigante)

84. San Michele di Serino (sammichelesi) Vurgiùti (gozzuti: la diffusione del gozzo era dovuta all'alimentazione basata sul consumo di cavoli)

85. San Nicola Baronia (sannicolesi) Peparulàri ( perché negli orti coltivavano peperoni)

86. San Potito Ultra (Sampotitesi) Sfuttitùri (beffeggiatori)
87. San Sossio Baronia (sossiani) Capegruosse (teste grosse)

88. S. Lucia di Serino (liciani) Menestràri (per l'abbondante produzione di verdure)

89. Sant'Andrea di Conza (santandreani) Jettacàntari (svuota-orinali)

90. S. Angelo All'Esca (santangiolesi) Orgiùti (gozzuti): il diffuso difetto era attribuito all'ingestione di un'acqua locale che conteneva una sostanza nociva.

91. S. Angelo a Scala (santangiolesi) Sirùnti (unti d'olio, per la produzione di olive)

92. Sant'Angelo dei L. (santangiolesi) Strazzaguàndi (dai guanti laceri, spocchiosi e spilorci)

93. Santa Paolina (santapaolinari) Ciuccàri (mercanti di asini)

94. S. Stefano del Sole (santostefanesi) Làene , Liàne (senza spina dorsale, molli come le fettuccine fatte in casa)

95. Savignano Irpino (savignanesi) Mangiachecozze (produttori e mangiatori di zucche)

96. Scampitella (scampitellesi) Scasciacallàre (irosi e rompi tutto)

97. Senerchia (senerchiesi) Pieripelùsi (polemici, petulanti)

98. Serino (serinesi) Chiantavruòcculi (seminatori di broccoli)

99. Sirignano (sirignanesi) Mangiarolle (mangia erbe, vegetariani)

100. Solofra (solofrani) Stritt'e mànu (spilorci)

101. Sorbo Serpico (sorbesi) Mulunari (mugnai)

102. Sperone (speronesi) Cucciulùni (teste di coccio, testardi e stupidotti)

103. Sturno (sturnesi) Ruospe re pandàne (rospi di pantano)

104. Summonte (summontesi) Culapierti (perché chini a raccogliere le castagne)

105. Taurano (tauranesi) Figli e' muonici (per la presenza di un convento di di monaci culturalmente molto attivi)

106. Taurasi (taurasini) Cugliùti (erniosi)

107. Teora (teoremi) Scardalàni (cardatori)

108. Torella dei Lombardi (torellesi) Cucuzzàri (coltivatori di zucche)

109. Torre Le Nocelle (torresi) Cansirri (zoticoni). Il canzìrro in dialetto campano è il bardotto, generato dall'accoppiamento di un cavallo con un'asina. Il termine starebbe per duri come muli .

110. Torrioni (torrionesi) Giappunìsi (forse perché attaccabrighe, maneschi; altri: gente strana, bizzarra, fuori dal comune)

111. Trevico (trevicani) Mangiapatàne (consumatori di patate)

112. Tufo (tufesi) Nzaccanigliàri (insacca nebbia)

113. Vallata (vallatesi) Lenguestorte (per la parlata unica praticata nel posto)

114. Vallesaccarda (vallesaccardesi) Mangiapatàne (vi si producev a gran quantità di patate)

115. Venticano (venticanesi) Crapàri (caprai)

116. Villamaina (villamainesi) Trippeggiàlle, Trippesciàlene (perché mangiatori di una qualità di pere, dalla forma di trippa, la sacca dello stomaco, e maturano e diventano gialle nell'invernata).

117. Villanova del Battista (villanovesi) Purcarìa (storpiando l'antico nome di Polcherino)

118. Volturara Irpina (volturanesi) Mbriacùni (avvinazzati)

119. Zungoli (zungolesi) Pezzienti (poveri)

sabato 4 giugno 2011

Ponte Rotto



Ai confini del territorio di Bonito si possono scorgere, sul letto del fiume Calore, i ruderi di un antichissimo viadotto romano detto Ponte Rotto o Ponte Appiano.

Costruito per consentire il passaggio della via Appia, che da Benevento si inoltrava verso la valle dell'Ufita, subì nel corso dei secoli numerosi rifacimenti ed interventi di manutenzione, a conferma della notevole importanza rivestita nei collegamenti tra il Sannio, l'Irpinia e la Puglia.

La via Appia, mentre da Roma a Capua fu creata ex novo nel 314-312 a.C., nel tratto da Capua a Venosa, realizzato dopo le guerre sannitiche, attorno al 190 a.C., seguiva soprattutto percorsi naturali. Da Caudium giungeva a Benevento, importantissimo nodo viario, e con il tratto successivo di 15 miglia raggiungeva Aeclanum.

Questo tratto fu rinnovato da Adriano nel 123 d.C., come attestano anche i sei miliari ritrovati lungo il percorso, e attraversava il Calore proprio con il Ponte Rotto.

Forse realizzato inizialmente in legno, fu ricostruito in muratura probabilmente in età traianea.

Tale datazione è avvalorata dalla tecnica costruttiva con paramenti in laterizio e ghiere di bipedali, simile a quella di alcuni ponti della via Traiana, quali quello delle Chianche presso Buonalbergo, quello di Santo Spirito a Montecalvo e i due sul Carapelle e sul Cervaro in Puglia.

La struttura, a schiena d'asino, era lunga circa 142 metri e comprendeva otto archi sorretti da sette piloni, di cui tre in acqua e quattro sul terreno.

La carreggiata aveva una larghezza di circa quattro metri e il complesso era rivestito in opus reticulatum.

Con la fine dell'Impero, il ponte e la via Appia continuarono a rivestire un ruolo importante per la viabilità e furono utilizzati, anche dopo l'occupazione longobarda, dai Bizantini e dai Normanni.

Al periodo altomedievale si fanno risalire i resti di due pilastri, aggiunti in sott'arco durante un intervento di restauro del ponte. I due piloni, che occupano il centro della quarta e della settima arcata, inglobano materiale lapideo proveniente dallo spoglio di antichi monumenti, tra cui un tronco di colonna liscia, blocchi con resti di cornici, il frammento di un capitello con foglie d'acanto e di un fascio littorio.

Subito a valle fu realizzato, certamente per sostituire il ponte antico definitivamente abbandonato, un piccolo ponte medievale, lungo circa 42 metri e con due soli piloni, di cui sono visibili ancora oggi i ruderi.

Il monumento è situato al confine del territorio di Apice, provincia di Benevento.

Vi si arriva dalla strada nazionale per Benevento (SS90), attraverso una strada interpoderale.