"Zio Vincenzo Camuso"
di ENZO COVIELLO
In un angolo della zona più bella di Bonito, la Via Belvedere (il “Muraglione” per i Bonitesi), si conserva la mummia di “Zio Vincenzo Camuso”. Per i cittadini è un Santo, per il clero locale “un’anima del Purgatorio”. La Cappella che oggi lo ospita è la stessa di sempre: un tempo parte integrante della Chiesa dell’Oratorio, intitolata alla S. M. Annunziata, danneggiata dal sisma dell’agosto del 1962 e poi abbattuta. Grazie al contributo dei bonitesi emigrati negli Stati Uniti d’America e per volere della Confraternita della Buona Morte nella persona del priore p.t. Crescenzo Petrillo, oggi è possibile visitare la nicchia dove è seduto Zio Vincenzo Camuso.
Per avere qualche notizia certa bisogna tornare un po’ indietro nel tempo e precisamente al 5 settembre del 1806 quando fu esteso all’Italia l’editto di Saint Cloud (del 12 giugno 1804). Da quel momento la sepoltura dei morti doveva necessariamente avvenire nei pubblici Cimiteri, posti al di fuori delle città, e le chiese dovevano essere “svuotate” dai corpi dei defunti che in precedenza lì erano stati adagiati. L’editto fu attuato a Bonito solo verso la metà del 1800: il 4 novembre 1849, infatti, iniziano le tumulazioni nel cimitero. In precedenza i defunti erano seppelliti, fino al 28 novembre 1838 nelle varie Chiese di Bonito (Chiesa Arcipretale, Chiesa di San Giuseppe, Chiesa di Sant’Antonio, Chiesa di S. M. Annunziata o “Oratorio”; dal 28 novembre 1838 al 6 novembre 1839 nel “Cimitero” della Chiesa di S. M. della Valle, e dal 6 novembre 1839 fino al 29 settembre 1849 nella Chiesa di Sant’Antonio). La prima sepoltura nel pubblico Cimitero fu quella d’Anna Antonia Minichiello, moglie di Pietro Sorrentino, di circa 60 anni; Arciprete era Luigi Inglese (tutto questo è dai registri di sepoltura ecclesiastica).
E’, quindi, intorno al 1850 che inizia la storia di “Zio Vincenzo Camuso”, allorquando, nella Chiesa dell’Oratorio furono rinvenuti un cumulo d’ossa e teschi e due corpi integri in “carne ed ossa”. Uno a contatto con l’aria si polverizzò, l’altro, quasi intatto, fu posto su una sedia impagliata. Si gridò subito al miracolo!
Il nostro Vincenzo Camuso risale probabilmente alla fine del 1600, inizio 1700: ciò si evince dal modo di sepoltura. Secondo l’usanza molto estesa in questo periodo, i cadaveri erano posti su un sedile di pietra di forma circolare, bucato, sotto al quale era posta della sabbia. La mummificazione avveniva così in maniera fisiologica, per un processo d’essiccazione dovuto allo scolo dei liquidi sull’arena.
Tale ipotesi è supportata dal fatto che il berretto che Zio Vincenzo Camuso ha sulla testa è una parte dell’abito della Congrega della Buona Morte – veste bianca e copricapo nero – che si soleva apporre ai defunti in quegli anni e per tutto il mese di novembre, il “mese dei morti”.
Zio Vincenzo Camuso si presenta seduto, con gli arti inferiori estesi, quelli superiori leggermente piegati e le mani incrociate all’altezza del ventre. La testa è volta verso destra e lo sguardo diretto verso l’alto. Quest’ultima caratteristica appare inspiegabile: la testa, difatti, per la morte del corpo, non poteva avere la sensibilità per mantenersi in quella posizione, ma piuttosto sarebbe dovuta essere abbassata, quasi “a guardare” il ventre. Zio Vincenzo Camuso non era un monaco né un ostetrico. Non poteva essere un monaco perché ciò sarebbe sicuramente risultato dai registri parrocchiali. Non era un ostetrico poiché dalle ricerche condotte, al tempo in cui risalirebbe Zio Vincenzo Camuso, il compito di assistere le donne durante il parto, era affidato, per motivi di pudore e successivamente anche per legge, solo a donne.
Certamente apparteneva alla Confraternita della Buona Morte. A prova di ciò non è solo il berretto, ma soprattutto il fatto si essere “sepolto” nella Chiesa dell’Oratorio in cui, per lo spazio limitato, erano posti solo i cadaveri degli appartenuti alla Confraternita.
Per la Chiesa è “uno scheletro di un defunto che merita rispetto. Essa, infatti, ha insegnato e insegna sempre il rispetto per i resti mortali. Non c’è dichiarazione di Santità, né ci può essere, per il momento: questo perché poco o nulla si sa sulla vita terrestre di quest’uomo chiamato dal popolo “Vincenzo Camuso”. Per la Santificazione è necessario conoscere la sua testimonianza cristiana vissuta. Bisogna essere Santi sulla terra per essere Glorificati in Paradiso. Le grazie che tante persone attestano, saranno sicuramente vere, ma non possono essere comprovate scientificamente. E’ fede popolare che va rispettata perché porta alla meditazione delle grandi opere di Dio e della nostra vocazione alla Santità”.
Per quanto riguarda il nome, vi sono varie teorie. Secondo alcuni sarebbe stato tramandato nei secoli. Secondo altri gli sarebbe stato dato da colui che scoprì il corpo. Altri ancora ritengono che all’atto dell’esumazione, sul corpo, vi fosse una scritta col nome “Vincenzo Camuso”. L’ipotesi maggiormente attendibile è la prima, anche sulla base delle testimonianze raccolte tra gli anziani che riferiscono che già i loro nonni si recavano a visitare la “mummia” e che questi dicevano lo stesso dei propri genitori. Tali dichiarazioni dimostrano l’antichità del culto!
I fedeli sostengono che “Zio Vincenzo Camuso” si manifesti loro, sia nel sogno sia nella realtà, a volte come corpo mummificato, altre, con sembianze umane.
Zio Vincenzo Camuso, si sarebbe inoltre rivelato, ad un medium, in una seduta spiritica, tenutasi in Venezuela mezzo secolo fa, fornendo il proprio nome e l’indicazione del luogo dove poteva essere visitato. Tale fatto fu reso noto, a Bonito, da uno dei partecipanti alla seduta, l’ingegnere A. N.
Nel novembre del 1975, Zio Vincenzo Camuso, avrebbe dettato ad una signora di Catanzaro, che non n’aveva mai sentito parlare, un messaggio, per risposta ad una sua invocazione d’aiuto rivolta al Signore. In tale documento dice di “essere perito nella sciagura più brutta che possa esistere”, secoli prima, che “ Dio è stanco delle cattiverie umane” e che “bisogna pregare molto il Signore nostro”.
I Bonitesi e tutti coloro che si professano suoi fedeli gli riconoscono grandi poteri taumaturgici. La prova è data dalle decine d’ex voto poste accanto all’Urna.
Questo quadro fa ben comprendere il perché di tanta animosità e di tanto fervore da parte dei Bonitesi, quando si è trattato di difenderne il culto dalle insidie dei miscredenti. Degna di nota è una missiva inviata il 23 Novembre 1957 dall’Arciprete di Bonito, il Sacerdote Giuseppe De Michele, al Vescovo della Diocesi di Ariano, avente per oggetto –citiamo testualmente- il Sacello del Purgatorio e Vincenzo Camuso. Da questa si ricavano alcune notizie mai conosciute prima, che possono essere un buon punto di partenza per future ricerche. Il sacerdote fa presente che fino ad una trentina d’anni prima, nella Chiesa dell’Oratorio vi erano lungo le pareti frontali, su tavole di legno, ben ordinati, una considerevole quantità di teschi umani; al centro del Sacello, un altarino con statuette delle anime purganti, ed ai due lati dell’altare uno scheletro di un uomo ed uno di una donna, accomodati su due sedie. Quello della donna andando in sfacelo fu sepolto; l’altro, per tradizione (questo il pensiero del sacerdote a riguardo) detto Vincenzo Camuso, rimanendo in buono stato di conservazione, non fu tolto, ma seduto su un pezzo di cassa funebre tenuta in piedi. In occasione del prolungamento del Sacello, dopo il terremoto del Vulture, anche i teschi furono sepolti. Il prete continua sostenendo che, ai tempi del brigantaggio, Vincenzo Camuso veniva “vestito” con la divisa dei confratelli della Congrega, ma dopo un po’ di tempo, lasciato nudo d’ogni indumento, per pudore, gli fu amputato il membro. Sulla stessa lettera (dattiloscritta) è riportata (a penna) una nota in cui si afferma che il dottor Fulvio Miletti, alla data del 27 Novembre 1957, riteneva probabile l’origine di Vincenzo Camuso sulla contrada Palatina, perché là avevano le terre i Camuso. Gli aneddoti sull’evoluzione del culto, si sprecano. Qualcuno riferisce di quando, nel periodo fascista, la moglie dell’allora podestà, convinse il marito a far coprire la mummia con un telo, perché, a suo avviso, costituiva motivo di vergogna per il paese. Tale decisione non fu accettata dai cittadini che si organizzarono in una vera e propria rivolta popolare. Qualcun altro comunica notizia di un muratore che, impegnato nei lavori di restauro della Cappella, prese ad imprecare contro Zio Vincenzo Camuso, manifestando espressamente la sua volontà, ai colleghi di lavoro, di voler buttare quello “scheletro” nel dirupo sottostante. L’uomo non terminò di parlare, che si sentì mancare la terra sotto i piedi, cadendo nel dirupo e provocandosi serie fratture.
Tante sono le persone che sostengono di essere state miracolate da quella “anima buona posta al fianco di Dio”; alcuni, come la signora di Catanzaro di cui abbiamo prima riferito, dicono di essere stati visitati in sogno senza neppure sapere della sua esistenza. Si sa di una bambina, M. T., recante una gravissima malformazione all’anca e guarita completamente per intercessione della “mummia”. Si parla anche di un bambino, affetto da un tumore al cervello, che non poteva essere operato perché rischiava la paralisi totale degli arti. La madre chiese la grazia a Zio Vincenzo Camuso e qualche mese dopo, i medici costatarono una piccola cicatrice al cervello la quale fece pensare che l’operazione fosse stata eseguita da “qualcun altro”. Il bambino, in ogni modo, era completamente guarito. Una vecchietta racconta di una persona affetta da un tumore allo stomaco prossima ad un’operazione; quando i medici si recarono dal paziente per comunicargli la data dell’intervento, questi riferì, tra lo sgomento generale, di essere già stata operato nella notte da un tale che gli aveva detto di essere Vincenzo Camuso di Bonito. Il signore in questione, guarito, si recò in paese per ringraziare quello che credeva un medico vivo e vegeto e rimase sbalordito, nell’apprendere prima, e nel vedere dopo, chi fosse “Vincenzo Camuso”. Ancora, una donna affetta da cancro al seno (A. P.) data per spacciata dai medici, racconta di essere stata tenuta per mano, durante un’operazione e durante la sua dolorosa degenza in ospedale da “Zio Vincenzo Camuso” e da “S. Antonio di Padova”, che la confortavano sul buon esito della sua malattia. Attualmente, la donna è viva e le sue condizioni di salute sono molto migliorate. Tantissime, sono le donne che dichiarano di essere state assistite da Zio Vincenzo Camuso durante il parto (forse è per questo che si è pensato fosse un ostetrico) e molte le persone che dicono di essere state aiutate nei momenti di bisogno da colui che definiscono un “Santo”. Una delle sue ultime grazie sarebbe la guarigione di una ragazza napoletana, G. C., recante una malformazione al ginocchio. In un biglietto posto accanto alla “mummia”, G. C. scrive: “Da molto tempo ho sofferto per un dolore al ginocchio che m’impediva di stare in piedi. Il medico ortopedico mi aveva sottoposto ad un intervento chirurgico. Dopo alcuni giorni mi fecero una nuova visita di controllo al ginocchio con un ottimo risultato; la malformazione era sparita. Il ginocchio fu guarito per grazia ricevuta dal Santo miracoloso Vincenzo Camuso che prego sempre”. In un altro biglietto, firmato L. S. A., si legge: “Con immenso amore da chi ti adora più d’ogni altra cosa. Ti ringrazio con tutto il cuore per ciò che continui a fare, non potrei ringraziarti abbastanza. Mi sono messa nelle tue mani sante e tu mi hai aiutato, ti amerò immensamente ieri come oggi, oggi come domani, sempre nell’eternità. Grazie per le grazie fatte; ti porterò sempre nel mio cuore e so che mi starai sempre vicino. La tua devota L. S. A.”.
Le richieste di miracoli sono tantissime e le più disparate e, tutte affisse in una bacheca posta accanto alla “mummia”. “Un devoto di Giugliano, A.” scrive che Il valore della vita è legato a filo stretto a quello delle sofferenze. Non si viene fin qui per una passeggiata, è l’amore che deve muoverci. Zio Vincenzo aiutami ad amare sempre di più; è l’unica via per sopportare la mia sofferenza. Quando sarò meritevole (se lo sarò) graziami a stare meglio. Ti voglio bene. A. Giugliano (NA)”.
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